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La Facilitazione: l’art nouveau della conduzione dei gruppi di lavoro

La Facilitazione: l’art nouveau della conduzione dei gruppi di lavoro

Il concetto e la pratica della facilitazione si è diffuso in Italia solo recentemente, ma per comprendere bene il ruolo e le mansioni del Facilitatore è opportuno fare alcune considerazioni preliminari.

Il modello partecipato verso cui si sta sempre più orientando la nostra società nasce dalla consapevolezza di quanto sia importante, ai fini del risultato, e complesso, per le dinamiche che si instaurano e la diversità dei soggetti che vi partecipano, creare dei “luoghi” di confronto per avviare azioni di collaborazione e progetti comuni.

Inoltre, anche nelle organizzazioni, si sta diffondendo l’approccio al lavoro in team: i gruppi, infatti, rappresentano il fulcro delle principali attività aziendali e di partenariato (si pensi ad esempio alle cordate che nascono per realizzare proposte progettuali finanziate, protocolli d’intesa per la gestione di varie attività anche di natura commerciale e/o sviluppo locale).

Sembra quindi esistere, sia a livello di struttura sociale sia a livello di singole organizzazioni, una tendenza verso una sempre maggiore partecipazione degli individui ai processi in atto ed ai cambiamenti in generale.

I gruppi, tuttavia, hanno caratteristiche particolari e, a volte, comportamenti molto conflittuali che necessitano di una “guida” in grado di farli diventare autonomi nel raggiungimento dell’obiettivo stabilito e capaci di auto-regolamentarsi.

Gli individui, non avvezzi al team work, tendono spesso a fare emergere in modo prepotente la propria individualità ed il proprio ordine mentale: ad avere, cioè, una propria visione dei risultati da raggiungere.

Spesso anche il semplice obiettivo di una riunione appare confuso e si ingenera quella sensazione d’inconcludenza, d’insofferenza, la percezione, cioè, che lavorare insieme ad altri sia una “perdita di tempo”.

A ciò si aggiunga che molto spesso la comunicazione tra i diversi componenti del gruppo è ostacolata da “meccanismi mentali” difficili da scardinare o superare: il punto di vista dell’altro viene spesso ignorato (perché si pensa esclusivamente secondo il proprio punto di vista) o filtrato dal sistema di “certezze” personali, con l’immediato risultato che ci si ascolta poco e ci si confronta ancora meno.

I gruppi sono spesso “limitati” da ostilità personali causate da contrasti professionali, lotte di potere o più semplicemente da incompatibilità caratteriali.

Appare evidente, quindi, quanto l’aspetto emotivo rivesta una grande influenza sull’efficienza del lavoro del gruppo. Le decisioni prese sono spesso poco chiare, si perde facilmente il quadro logico delle responsabilità, delle attività individuali e delle scadenze.

Il Facilitatore, quindi, rappresenta una “guida” nella gestione di riunioni, aule, seminari, workshop ed un “animatore di processi partecipati” (tavoli di concertazione, conflitti e reti locali, ecc.).

Il suo ruolo è quello di un vero e proprio consulente che aiuta il gruppo a conoscersi, a confrontarsi, a valorizzare le diversità di ognuno, ad apprendere, ad avere una visione unica e condivisa delle fasi di lavoro e del percorso efficace per il raggiungimento degli obiettivi stabiliti. Egli diviene il gestore di dinamiche di sviluppo partecipate.

Per il Facilitatore i “depositari” della conoscenza, circa l’argomento trattato, ed i soli che possono veramente cambiare e migliorare le cose, sono gli stessi soggetti che partecipano al gruppo. Vanno solo guidati a far emergere queste loro potenzialità.

È l’osservatore neutrale dei contenuti, il regista unico della successione logica delle azioni che consentono al gruppo di ragionare per obiettivi, definire strategie opportune e stabilire risultati reali, adottando metodologie che aiutano anche a proseguire in maniera autonoma le attività del gruppo.

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